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Niccolò dei Conti


V
iaggiatore (Chioggia, circa 1395 - Venezia, 1469). Datosi giovanissimo al commercio delle spezie, si portò a Damasco, dove imparò l'arabo. Raggiunto Baghdad, si spinse attraverso il Tigri e l'Eufrate fino a Bassora e al Golfo Persico. Cabotando lungo i porti della costa persiana, imparò la lingua locale. Oltrepassato lo stretto di Hormuz ed il tropico del Cancro, sbarcò a Pudifetania sulla costa del Deccan (India), dove fissò la base dei suoi traffici. Da qui compì lunghi viaggi nell'interno, risalendo il Gange e l'Irawady e per mare, toccando successivamente Sumatra, Giava, Borneo, Indocina e Malacca. Dopo 25 anni di peregrinazioni, rientrò - per il mar Rosso ed il Cairo - a Venezia, dove, consolidata la propria ricchezza con un altro decennio di commerci, si ritirò a vita privata, intraprendendo di tanto in tanto piccoli viaggi per conto della repubblica veneziana. Il racconto delle sue avventure è stato steso da Francesco Poggio Bracciolini e, sebbene si abbandoni talvolta alla fantasia, è ricco di notizie su uomini, e costumi, fauna e flora e prodotti commerciali dei paesi visitati. L'opera, intitolata De varietate fortunae, ebbe grande diffusione e numerose traduzioni durante il secolo XV. Conti parla di Giava, di Panconi (Pechino) e del Giappone ove risiedette, con la famiglia, per nove mesi, dando al Giappone il nome di Japan, invece di Cipango come lo chiamavano in Cina.

Conti ebbe anche diversi dialoghi con Toscanelli, che Poggio Bracciolini definì in doctissimorum virorum coetu, che ebbero una certa influenza nella stesura della famosa carta di Toscanelli che pervenne nelle mani di Colombo.